Le componenti impulsive della condotta, tra imputabilità, (pre)colpevolezza e pena

Le componenti impulsive della condotta, tra imputabilità, (pre)colpevolezza e pena

Del professor Piergiorgio Strata per Diritto Penale e Uomo

La Society for Neuroscience degli Stati Uniti organizza ogni anno un congresso al quale partecipano circa 30.000 persone che provengono da gran parte del mondo. Nel programma viene inclusa come relatore una personalità altamente qualificata che tratti un argomento nell’ambito “Science and Society”. Nel 2015 a tenere la conferenza fu invitato il Giudice Federale Jed S. Rakoff che scelse come titolo del suo intervento: “Neuroscienza e legge, strani compagni di letto”.

Il giudice ha affermato quanto sia stato sempre complicato anche per la scienza immaginare leggi che tenessero in considerazione la responsabilità individuale. Un testo su questo argomento fu distribuito a centinaia di giudici e la maggioranza di costoro espresse scetticismo sul fatto che la neuroscienza possa garantire ricadute positive sulle sentenze dei tribunali.

L’argomento al centro del libro di Daniele Piva contrasta e fa chiarezza su questo punto.

Il nostro comportamento è legato a un’attività neuronale che può essere quella di un semplice riflesso spinale, come la retrazione di un mano di fronte ad uno stimolo che provoca dolore, oppure quelle che Piva chiama “componenti impulsive” del nostro comportamento che nulla hanno a che fare con il libero arbitrio[1], argomento ampiamente trattato nella storia dell’uomo e fonte di ambigui significati e forti dissensi.

Libero arbitrio non significa che la mens agisca sulla materia neurale, la res, guidando i nostri comportamenti. La mens è semplicemente una proprietà della res, come la forza di gravità è una proprietà di una pietra che, cadendo dall’alto, non ha alcuna libertà e rispetta soltanto le regole della fisica.

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