Intervista di Claudio Gallo per La Stampa al professor Piergiorgio Strata 18 dicembre 2019
Piergiorgio Strata è un decano dei neurofisiolo gi italiani, ha lavorato a lungo in Australia e negli Stati Uniti con il premio Nobel per le ricerche sul cervello John Eccles. Nonostante non sia religioso e sia stato co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni, che si batte per una morte dignitosa, ha recentemente scritto una lettera ai politici per metterli in guardia: le più recenti tecniche di scansione del cervello hanno dimostrato che, in alcuni casi, i pazienti in coma hanno coscienza di ciò che accade intorno a loro. Professore, le «immagini» cerebrali potrebbero dirci, per esempio, se Michael Schumacher è cosciente oppure no? «Probabilmente. Si tratta soprattutto dei pazienti che si trovano nel cosiddetto stato vegetativo che finora sono stati giudicati privi di consapevolezza: per accertarlo è necessario stabilire se il paziente ha un’idea del rapporto fra il “sé” da una parte ed il tempo e lo spazio dall’altra. Recentemente il problema è stato affrontato tramite nuove tecnologie che permettono di osservare i cambiamenti dell`attività metabolica del cervello in persone apparentemente incoscienti. Per esempio, spieghiamo al paziente che se un certo nome corrisponde a quello del padre egli deve stringere la mano sinistra, altrimenti deve stringere la mano destra. In assenza di movimento, la risposta si evince dalla localizzazione della variazione del metabolismo nell’area motoria di destra o di sinistra. Un altro esempio: a una persona sana si chiede di immaginare di giocare a tennis. Tramite le immagini si osserva una variazione di attività nell`area corticale premotoria che è l`area dove vengono programmati i movimenti. Se la stessa domanda viene rivolta a pazienti con diagnosi di stato vegetativo è possibile osservare in alcuni di essi una variazione di attività nella stessa area premotoria. Questo nuovo corso ha permesso di dimostrare che una parte di pazienti in stato vegetativo hanno un certo grado di consapevolezza (percentuale del 17% in uno studio di Monti e collaboratori del 2010). In conclusione, in questo modo, in pazienti che non possono fornire risposte verbali o gestuali dirette si possono identificare pensieri, azioni e intenzioni sulla base del tipo di attività che si osserva nel cervello del paziente. Oggi da una parte questo permette, di fronte a un paziente con lesioni cerebrali, di ottenere informazioni fondamentali per la cura, la diagnosi e la prognosi con la conseguente scelta di proseguire o meno il trattamento: difficili problemi etici». La dichiarazione universale dei diritti umani del 10 dicembre 1948 dice all’Articolo 1: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. Forse oggi la neuroscienza potrebbe avere qualcosa da dire su quel «nascono liberi», non crede? «Apparentemente siamo liberi di scegliere a nostro piacimento se andare al cinema o allo stadio per assistere a una partita di calcio. Tuttavia oggi vi sono prove che il fenomeno mentale emerge quando alcuni gruppi di neuroni della corteccia diventano attivi in maniera sincrona in una frazione di secondo. Molti esperimenti recenti hanno dimostrato che quando decidiamo di compiere un`azione, nel cervello, sia l`attività elettrica sia quella metabolica, insorgono molto tempo prima di quando il soggetto rivela di aver preso la decisione del movimento. Quindi il primo stadio della decisione appartiene a un processo inconscio e successivamente diventiamo coscienti di quanto il cervello aveva deciso di fare. Le decisioni sono la conseguenza di una serie di reazioni fisico-chimiche che istante per istante procedono verso una determinata direzione sotto il controllo dell`interazione fra gli stimoli esterni e interni che arrivano al cervello e le sue proprietà. Queste proprietà dipendono dai nostri geni e dalle influenze che l`ambiente esercita su di noi. Il continuo fluire dei pensieri ha come sub strato l`attività di gruppi di neuroni e in ogni istante vi è un modulo che domina sugli altri. Pertanto il cervello (non la mente che si appropria in seguito della decisione) “sceglie” il modulo che al momento è dominante». Se a scegliere è la macchina cerebrale e non quell`io che crediamo di essere, non si indebolisce il concetto giuridico di colpevolezza? «Diventa una valutazione estremamente complessa. Per proteggere la società la legge deve fornire le regole che concorrono a sanzionare comportamenti delittuosi con lo scopo di punire il reo e costituire una deterrenza nei confronti dei membri della società. A maggior ragione, però, le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono mirare alla riabilitazione del condannato. Andrebbe evitata l`applicazione di una pena in senso retributivo per soddisfare la società che chiede vendetta». Si parla di riaprire il processo a Olindo e Rosa, condannati per gli omicidi di Erba dell` 11 dicembre 2006. Lei fu consulente della difesa, perché crede che la sentenza fu ingiusta? «La coppia fu condannata sulla base della testimonianza di una persona, Mario Frigerio, che rimase ferito. Quattro giorni dopo la strage, pur ammettendo di conoscere Olindo e di aver visto in faccia l`assassino, aveva negato che Olindo fosse il responsabile. Successivamente il teste, sotto pressanti, ed a mio parere non equilibrati interrogatori, ha cambiato idea. Quanto riportato nella sentenza, anche alla luce dei meccanismi con cui si formano i ricordi, rivela chiaramente che vi è stata una manipolazione della memoria per cui la testimonianza non vale nulla». Lei contesta anche un`altra celebre sentenza di un processo in cui fu consulente, quella che condannò Scattone e Ferraro per l`«omicidio involontario» della studentessa Marta Russo, uccisa il 9 maggio 1987 da un colpo di pistola partito dalla facoltà di legge dell`università di Roma. Perché? «Anche in questo caso la sentenza ha tenuto conto di due testimoni. Maria Chiara Lipari, che nell`immediatezza dei fatti negò di aver visto l`assassino e nel giro di tre mesi ricostruì il ricordo di averlo visto. Più sconvolgente la testimonianza di Gabriella Alletto che il Pubblico Ministero aveva lasciata sola con il cognato, ispettore di polizia, in presenza di una telecamera a loro insaputa. Questo video ha mostrato la Alletto che giura sui figli di non aver visto la scena dell`omicidio e che alla domanda rivolta al cognato se essere leale o sleale aveva avuto come risposta di essere sleale. In un re cente articolo dal titolo Occhi bugiardi il giudice distrettuale di New York, Jed Rakoff, scrive che, “in real-tà, il testimone oculare spesso si sbaglia. Le identificazioni erronee dei testimoni oculari sembrano essere, da sole, la principale causa degli errori giudiziari. Ad esempio, si è fatto ricorso a tale strumento di prova in oltre il 70% degli oltre 360 casi che Innocence Project ha poi dimostrato, attraverso l`analisi del Dna, essersi conclusi con una ingiusta condanna. In quasi un terzo di
questi casi, inoltre, sono stati accertati molteplici errori di identificazione dell`imputato. Per fare un confronto, la seconda causa principale delle condanne erronee, ossia le false dichiarazioni dei cosiddetti “testimoni esperti”, ha interessato il 45% di questi casi, mentre il terzo fattore più frequente, rappresentato dalla falsa confessione del reo, ha riguardato il 30% dei casi”». Dunque la memoria è inaffidabile «Lacy e Stark hanno scritto sulla rivista Nature Reviews Neuroscience che la memoria è imperfetta e non possiamo assumere che questo sia ben compreso nella aule dei tribunali. Inoltre, affermano che non è possibile cambiare il fatto che la memoria sia imperfetta, ma forse possiamo modificare il peso che devono avere sulle prove la memoria e l`affidabilità che di solito attribuiamo alla memoria»