(Valentina Stella su Cronache del Garantista, 21 ottobre 2014)
L’uso diffuso delle neuroscienze al di fuori della ricerca e dei laboratori medici solleva questioni etiche e pratiche. Lo sapete che da non molto siamo tutti soggetti di una nuova disciplina, denominata neuromarketing la quale, attraverso le nuove scoperte delle neuroscienze, aiuta ad individuare modalità di comunicazione più efficaci per entrare nella mente dei possibili clienti? Tuttavia, c’è un luogo in cui lo studio dei processi mentali può davvero essere determinante per il destino delle persone: il tribunale. Lo spiega il professor Piergiorgio Strata nel libro ‘La strana coppia. Il rapporto mente-cervello da Cartesio alle neuroscienze’, Carocci Editore.
Strata, emerito di Neurofisiologia all’Università di Torino, già Presidente dell’Istituto Nazionale di Neuroscienze, intraprende un viaggio lungo 160 pagine nella macchina complessa del cervello, seguendo l’evoluzione storica dei fatti acquisiti dalla scienza, nella cornice culturale in cui sono maturate le grandi scoperte. Spiega le basi biologiche di fenomeni comuni quali l’amore, il piacere, l’aggressività, l’odio e l’emarginazione. Ma soprattutto porta alla luce le ricadute sul sistema giudiziario dei nuovi studi sulla coscienza e sulla memoria. “Non sono assolutamente convinto della colpevolezza di Rosa Bazzi e Olindo Romano”, condannati all’ergastolo per la strage di Erba, ha dichiarato pochi giorni fa Strata alla trasmissione Il Maratoneta, su Radio Radicale. “La giustizia deve prendere atto che la memoria è imperfetta e manipolabile”, continua Strata, che nel libro giustifica tale affermazione esaminando la testimonianza di Mario Frigerio, marito di una delle vittime della Strage di Erba, che vide in faccia l’assassino. Tipico ‘caso da manuale sulla manipolazione della mente dei testimoni oculari’: la versione dei fatti è mutata sotto l’azione di interrogatori (stralci sono riportati nel libro e in maniera più estesa su piergiorgiostrata.net), nei quali si suggeriscono le risposte, si instillano dubbi e si pongono esercizi di immaginazione. E contesta una dichiarazione del Generale dell’Arma dei carabinieri in congedo Luciano Garofano, il quale scrive in un suo libro, riferito al racconto di Frigerio: “probabilmente la sua testimonianza fu la più convincente e indubbiamente giocò un ruolo chiave nell’ottenere un verdetto di colpevolezza. Probabilmente fu proprio grazie alla sua testimonianza che la Cassazione confermò le sentenze”. “Che questa testimonianza fosse la prova regina lascia molto perplessi”, sottolinea Strata, il quale dedica un capitolo anche al processo Marta Russo, uccisa il 9 maggio 1997 da un colpo di pistola in un cortile dell’Università La Sapienza di Roma. Anche in questo caso, per il quale fu condannato per omicidio colposo Giovanni Scattone e per favoreggiamento Salvatore Ferraro, le testimonianze-chiave della Lipari e dell’Alletto per Strata sono inattendibili perché estorte sotto pressioni e anche minacce. Se da un lato, dunque, le conoscenze acquisite sulle false-memorie possono essere utili a magistrati e giurie per dare un giusto peso a quanto dichiarato dai testimoni, dall’altro lato Strata contesta l’uso in ambito processuale della imaging cerebrale con l’obiettivo di mettere in evidenza anomalie sia anatomiche (presenza di tumori, atrofie, lesioni) sia funzionali (aree che presentano un’alterazione nel grado di attività) che possano essere responsabili di comportamenti offensivi al fine di decidere la condanna e l’entità della pena. “Istruttivo – scrive Strata – il caso di Brian Dugan che all’età di 52 anni rapì e uccise Jeanine Nicarico di appena 10 anni. Si trattava del terzo omicidio. Al processo, nel 2006-2009, secondo il perito della difesa l’imaging cerebrale dell’imputato mostrava gravi segni di psicopatia, pur ammettendo che ciò non dimostrava la sua innocenza, essendo peraltro lui reo confesso. Il perito del tribunale affermò “le immagini sono meravigliose, ma non rilevanti”. La corte condannò l’imputato alla pena di morte che per moratoria fu poi tramutata in ergastolo”. E’ giunto forse finalmente il momento che anche il processo penale italiano, come quello dei Paesi anglosassoni, faccia propri gli sviluppi scientifici descritti da Strata, e che l’approccio neuroscientifico possa rappresentare un contributo aggiuntivo in ambito forense?