I bravi ricercatori e le debolezze dell’Italia

I bravi ricercatori e le debolezze dell’Italia

[Lettera all’Unità del 30 gennaio 2014]8

Caro Direttore, ho letto con interesse la brillante analisi che Pietro Greco ha fatto sui recenti risultati relativi all’assegnazione di finanziamenti per la ricerca da parte dello European Research Council. Come riportato anche da altri media ci rallegriamo del fatto che in termini di numero di assegnazioni gli italiani siano al secondo posto in Europa. Purtroppo siamo di gran lunga in prima linea nella classifica di coloro che spenderanno i loro soldi all’estero: Italia 26, Germania 15, e gli altri al di sotto di 5. Si tratta di un’esportazione legale di capitali, in quanto le regole vogliono, giustamente, che il finanziamento sia della persona che può portarlo con sé ovunque. Questa regola introduce il concetto di mercato dei cervelli e in questo mercato gli inglesi traggono il maggior profitto. Con questa emorragia di cervelli, se calcoliamo il numero di italiani che spenderanno i fondi lavorando nel nostro Paese, la classifica ci vede al sesto posto. Questo ci potrebbe rallegrare. In fondo un sesto posto non appare così male. La brutta notizia, che è quella più importante, è che se calcoliamo il numero dei nostri finanziamenti per milioni di abitanti, la classifica ci vede al numero 11. Davanti a noi a vediamo prima in classifica la Germania con un coefficiente (rapporto fra finanziamenti e popolazione) di 2,5. Seguono Israele (2,1), Olanda (1,4), Belgio (1,3) Svizzera (1,0), Cipro (1,0) Finlandia (0,7), Svezia (0,6), Francia (0,5) Regno Unito (0,4) e Italia (0,3). Questo score on size dimostra la nostra vera debolezza. Essa non è soltanto legata alla carenza di investimenti pubblici della ricerca che in percentuale del Pil non è così lontana dagli altri Paesi, ma alla scarsa presenza della ricerca industriale che in percentuale del Pil è quasi la metà di quella degli altri Paesi. Non dimentichiamo che nel 1980 una ope legis mascherata ha inserito nei ruoli universitari ben 30.000 docenti. Siccome la ricerca è competizione come il calcio, non si può vincere un mondiale con una squadra nella quale i giocatori sono stati reclutati come si è fatto per l’università. E questa squadra non troverebbe degli sponsor che vi investano. I problemi da risolvere sono molti e alcuni a costo zero. Ma il problema principale sta nella debolezza delle nostre infrastrutture che sono costose, frammentate, burocratizzate e soprattutto con scarsa indipendenza dei giovani i quali sono praticamente privi di quella mobilità che è alla base del mercato dei cervelli.