A Rizzolatti il premio che vale un Nobel

A Rizzolatti il premio che vale un Nobel

Giacomo_Rizzolatti

[La Stampa 2 aprile 2014)

Tutti sanno che dire Nobel significa fare riferimento per unanime consenso al premio più prestigioso nei vari campi del sapere scientifico, campi che all’epoca di Alfred Nobel erano molto ristretti e che oggi navigano su praterie sconfinate. Pochi sanno che nel tempo premi di altissimo prestigio si sono moltiplicati per fare fronte a realtà e ricerche sempre più sofisticate. Tra questi riconoscimenti c’è il giovanissimo «Brain Prize», conferito a studiosi che si sono distinti per un contributo straordinario alle neuroscienze europee. Il premio del valore di un milione di euro è stato istituito dalla «Grete Lundbeck European Brain Research Prize Foundation», che nella sua quarta edizione annuale l’ha assegnato a tre star del settore, Giacomo Rizzolatti, Stanislas Dehaene e Trevor Robbins.

Rizzolatti è noto per la scoperta nelle scimmie dei neuroni specchio, neuroni che esistono anche nell’uomo ed entrano in gioco quando si devono interpretare le reciproche intenzioni tra due individui, buone o cattive che siano. Questi studi sono di grande interesse per l’analisi dei rapporti interpersonali e di patologie come l’autismo. Al francese Dehaene, invece, si deve la scoperta di come alcuni gruppi di neuroni interpretano numeri e lettere, «moduli» nei quali è scritto anche il manuale della loro manipolazione. Lo stato di coscienza emerge quando avviene la simultanea attivazione di un certo numero di questi «moduli» e il contenuto della coscienza stessa varia a seconda dei «moduli» coinvolti. L’inglese Robbins, infine, ha scoperto i meccanismi delle regole che controllano il comportamento, dimostrando che l’abuso della droga, oltre ai classici principi della punizione e della ricompensa, si basa sull’instaurarsi di un meccanismo d’abitudine.

Nell’insieme questi tre ricercatori sono stati dei veri pionieri nel tracciare la strada sui meccanismi neurali che sono alla base dei processi mentali. Le loro scoperte nascono dalla fusione di interessi diversi, tra le neuroscienze e la psicologia cognitiva, portando a una nuova frontiera che oggi viene definita «biologia della mente». Questa frontiera necessita dell’indispensabile apporto di culture diverse con le competenze di informatici, matematici, filosofi e modellisti per approfondire il problema più difficile: come i multiformi aspetti della mente emergano dalle nostre molecole incoscienti. La sfida, quindi, si focalizza sull’intreccio di connessioni all’interno del nostro cervello e sulla costruzione di una «carta geografica», nella quale vengano identificati i punti di partenza e di arrivo di ogni neurone, oltre alla loro specifica funzione.

Questo è proprio lo scopo principale dei due mega-progetti che sono da poco iniziati con investimenti straordinari in Europa e negli Stati Uniti. Le prospettive sono quelle di ridurre le distanze con altri aspetti della nostra cultura e delle nostre conoscenze, che hanno già aperto spazi significativi alla neurofilosofia, alla psicoanalisi e alla psicoterapia, ma anche alle scienze umane e sociali. E, infatti, nella proclamazione del premio si legge: «Siamo lieti di assegnare il premio di quest’anno a scienziati che ci hanno dotati di una migliore consapevolezza e conoscenza e di un miglior trattamento dei disordini di natura comportamentale e cerebrale, che sono un grave fardello nella nostra società».

Rizzolatti si è augurato che questo «prestigioso riconoscimento alla scienza italiana possa essere di stimolo al nuovo governo e crei maggiore interesse per la ricerca di base, superando la scarsa attenzione che attualmente c’è per tale ricerca, incrementando anche la disponibilità di fondi». E non caso il neuroscienziato sta pensando di destinare una parte del suo premio ad un’associazione che si occupi di neuroscienze. Scopriremo più particolari, probabilmente, alla cerimonia di premiazione che si terrà a Copenaghen il prossimo 1° maggio.